Simon, nell’hotspot di Pozzallo, mostra sorridendo la foto della piccola che ha potuto tenere in braccio solo per un minuto e chiede preoccupato: “È mia figlia, ma non ho documenti per dimostrare che lei è mia moglie, in Libia mi hanno portato via tutto anche l’anello del matrimonio “. Peace, ormai in piedi nel reparto di ostetricia dell’ospedale Civico di Palermo, non ha l’aria di quella che si sente al sicuro: “Quando mi danno la bambina?”, “Quanto ci terranno ancora qui? E dopo dove andremo?”. Un piano sotto, in un’incubatrice dell’unità terapia intensiva neonatale, Miracle strilla e agita i pugnetti e i piedini: “Considerate le condizioni in cui è nata e le difficoltà respiratorie che ha subito accusato, direi che sta abbastanza bene, ma dovrà restare con noi ancora un po’”, dice Marcello Vitaliti, il primario del reparto che ha accolto con grande affetto la minuscola migrante nata mercoledi sul ponte della nave della Ong spagnola Open Arms e portata d’urgenza a Palermo con l’elisoccorso insieme alla mamma.

La piccola Miracle, la figlia del migrante 100.000 approdato sulle nostre coste
Miracle, l’hanno chiamata così perché la sua nascita, avvenuta mezz’ora dopo il soccorso in mare, è sembrato proprio un miracolo a questa giovanissima coppia del Ghana arrivata in Italia dopo tre mesi di inferno in un centro di detenzione in Libia. Simon Oppong, 25 anni, artigiano del cuoio del Ghana, non sa di essere il migrante numero 100.000 sbarcato venerdi in Italia, a Pozzallo. È lui e la sua famiglia che, come simbolo dei 100.003 approdati nel 2017, Repubblica ha deciso di seguire, per raccontare quella che è stata la loro storia fino ad ora ma anche quello che sarà il loro futuro in Europa nei prossimi mesi.
E la piccolissima Miracle è davvero un inestimabile biglietto vincente nella lotteria della vita di Simon e Peace perché la sua nascita consentirà adesso a questa famiglia di poter presentare una richiesta d’asilo che, invece, di solito non è permessa a chi proviene dal Ghana, considerato migrante economico. Nell’hotspot di Pozzallo, a Marco Rotunno, rappresentante dell’Unhcr, che glielo spiega, Simon dice semplicemente: “Nel nostro paese non si vive bene. Io e Peace siamo partiti per andare in Libia a cercare lavoro, abbiamo vissuto a Tripoli un anno e tre mesi. Se avessi saputo prima quello che ci aspettava non sarei mai partito, abbiamo sempre vissuto nel terrore, io mi arrangiavo facendo qualsiasi tipo di lavoro, Peace faceva treccine ai capelli. Abbiamo cercato la protezione dei nostri vicini di casa libici, Peace non è mai uscita da casa sola, troppo pericoloso. Poi, quando lei è rimasta incinta abbiamo deciso di partire. Non potevo far nascere mia figlia in Libia”.